30 dicembre 2002
Con la luce dell'alba ci apprestiamo a partire non prima di aver fatto qualche acquisto al mercatino improvvisato dalle donne della famiglia ed aver reso visita al museo personale del gestore, a fianco dell'albergo.
Contiene un vero e proprio campionario di materiale preistorico ed etnico molto ben conservato ed esposto.
La carovana riprende il cammino su terreno nuovamente sabbioso ma non particolarmente impegnativo ed in breve dall'alto delle dune da cui giungiamo vediamo, di fronte a noi, una falesia scura con una parte più accidentata al centro: le rovine di Ouadane. Andiamo fino alla base della città dove facciamo sosta.
Di Ouadane restano le rovine. Solo il minareto della moschea è in piedi. Non è difficile tornare indietro nel tempo con la fantasia per vederla animata e piena di vita come doveva essere qualche secolo fa. La sua dimensione e lo scenario in cui è posta sono estremamente suggestive e, vista l'esposizione, probabilmente il momento migliore per arrivarvi è il tramonto. Con Raffaello restiamo sul posto e approfittando della mancanza di vento scarichiamo le immagini delle camere digitali sul PC. Athos, nel frattempo, va al nuovo villaggio a farsi saldare uno dei ganci di traino non perfettamente fissato e ad informarsi sulla situazione piste. Le notizie confermano quanto sentito a Chinguetti.
Una volta ripartiti riusciamo ad infognarci tra sabbia ed orti dei locali. Dopo piastre, traini, spinte ed alcune esclamazioni non proprio di giubilo, troviamo l'imbocco della pista che in pochi ripidi tornanti pietrosi ci porta sulla falesia sovrastante Ouadane. Ecco l'aeroporto di Ouadane, uno spiazzo rettilineo inquadrato da pietre bianche su cui dev'essere poco divertente atterrare. Poi pista pietrosa.
Ci troviamo sul bordo del Guelb El Richat, una formazione naturale circolare di circa 35 km di diametro. La sua origine non è chiara e, a causa della scarsa altezza delle sue sponde, non se ne ha la percezione visiva che ci si potrebbe aspettare vedendolo su una cartina o ripresa da satellite.
Le pietre non ci abbandonano per tutto il percorso fino all'arrivo alla depressione di El Beyyed. Il sole comincia ad abbassarsi quando vi arriviamo. Ed io ed Athos ci arriviamo con una piccola preoccupazione: da qualche km sentiamo un rumore all'altezza dell'avantreno.
La pista molto ripida e sassosa sprofonda verso la grande depressione punteggiata di acacie. Lo scenario è grandioso.Tornante dopo tornante scendiamo sul fondo. Guidati dal fido gps ci dirigiamo verso il pozzo di El Beyyed. Lungo il percorso ci fermiamo a fianco di una piccola costruzione in banco. Compaiono immediatamente un gruppo di donne e di bambini che silenziosamente si siedono ordinatamente a terra, aprono i loro fagotti e dispongono i loro piccoli oggetti in vendita. Facciamo qualche scambio e andiamo a vedere il pozzo. Finanziato dal governo, è in cemento, in perfetto stato e, soprattutto, l'unica fonte d'acqua dolce per tutta la valle.
Torniamo sui nostri passi e cerchiamo un angolino tra le acacie che ci accolga per la notte. Nell'attesa del tramonto con Athos andiamo ad esplorare la falesia insabbiata verso nord. La vista è splendida e si riescono a percepire le dimensioni dell'intera depressione.
Una volta fatto il campo ed in attesa del pranzo e mentre il mercatino ambulante si riforma attorno al nostro fuoco, i più tecnici del gruppo decidono di scoprire cosa fa rumore sul nostro 80. Diagnosi: cuscinetto della ruota anteriore destra che ha preso gioco (eppure a me sembrava che il rumore arrivasse da sinistra).
Detto, fatto. Viene messo il crick e si procede con lo smontaggio per accedere ai dadi che servono per registrare i cuscinetti. Ma arrivati alla ghiera che sigilla gli stessi non c'è verso di toglierla. Svitati i dadi che la fissano ci si trova di fronte a rondelle che non vogliono togliersi. Viene provato di tutto compreso lo scaldare il mozzo con il camping gas per dilatarle. Risultato: zero. Alla fine Giorgio decide che è meglio chiamare con il satellitare il suo meccanico Nando, a Como, per avere lumi. La risposta fa rotolare tutti dal ridere (a parte Athos, proprietario della macchina): abbiamo fatto tutto ciò che non andava fatto e, insistendo, abbiamo bloccato quelle maledette rondelle che hanno un loro segreto nascosto. Sono coniche e quindi basterebbe farle andare in vibrazione con un sano colpo di martello sul coperchietto per vederle schizzare via. Questo se non le si forza. Infatti, anche con il metodo suggerito da Nando non c'è verso di smuoverle. Rimandiamo l'operazione e rimontiamo la ruota.
Smaltiamo la delusione con una provvidenziale abbondante correzione di grappa nel caffè. Il fuoco è ancora acceso, il cielo terso e tappezzato di stelle ed io non me la sento di perdermelo rinchiudendomi nella macchina. Decido di dormire accanto al fuoco.
31 dicembre 2002
All'alba sono in piedi. Piano piano il campo si risveglia e, puntuali, arrivano i bambini e le donne di El Beyyed con il loro mercatino. Insieme a loro giunge anche Yeslem che ci conduce alla scoperta della valle.
Ci porta prima in un sito preistorico con alcuni graffiti (c'è anche una giraffa), poi ad una sorgente di acqua salmastra. Lungo il suo corso alcuni scheletri di dromedario e, a poche decine di metri, l'unica palma di El Beyyed. E' una femmina ed essendo senza maschi nelle vicinanze non produce datteri.
Ripartiamo seguendo il corso del oued che parte dalla sorgente e, ad un certo punto Yeslem ci fa svoltare sulla destra in una zona piatta. Scendiamo dalle macchine e ci rendiamo conto di essere in un giacimento di amigdali. Incomplete, rotte , solo abbozzate. Il terreno ne è pieno per un diametro di un centinaio di metri.
Poi, ospiti della sua tenda per il the di rito, ci fa da interprete con un vecchio pastore che conosce la zona nella quale dobbiamo recarci. Le sue indicazioni si riveleranno preziose e corrette. Ultima tappa prima di abbandonare El Beyyed, il museo archeologico di Yeslem, ricco ed ordinato.
E' ora di partire. E dobbiamo uscire dalla valle. L'unica via verso est è una passe costituita da un grande sabbione riportato dal vento appoggiato al lato nord est della falesia. Sgonfiaggio delle gomme e via, chi prima chi dopo giungiamo tutti sulla sommità. Ma i problemi non sono finiti. Ci impantaniamo tra le dunette alla ricerca dello sbocco sulla valle verso est. Girovagando finiamo in una zona dove, dalla sabbia, emerge una "pavimentazione" a blocchi quadrati perfettamente allineati. Fenomeno naturale (basalto?) che da l'illusione di essere sulle rovine di qualche antica civiltà. Dopo un po' di tribolazioni Roberto individua la direzione ed il passaggio corretto.
Ci fermiamo sotto il sole cocente per il pranzo e scopriamo cosa faceva rumore sulla macchina di Athos: uno dei silent block dell'ammortizzatore anteriore sinistro si è tritato. Fortunatamente abbiamo il ricambio e in pochi minuti lo sostituiamo.
Ritroviamo le tracce della pista e ci infiliamo nella lunga valle che porta ad El Ghallaouia, falesia nera a destra, dune dorate a sinistra e noi che corriamo nel oued (anche in 5a). Incontriamo un minimo di vegetazione e qualche tenda di nomadi con capre. Evidentemente da qualche parte c'è acqua. Infine la valle sia allarga e sotto il rilievo di fronte a noi compare il forte di El Ghallaouia. La guarnigione si dimostra gentile, ci rassicura sulla situazione sicurezza (e ci mancherebbe che dicessero che non controllano la situazione) ma non fidandoci, decidiamo di indicare una meta ed un percorso sensibilmente diversi da quelli che percorreremo: non si sa mai.
Con la loro scorta per qualche km ci dirigiamo verso sud. Dopo aver "fatto legna" imbocchiamo la stretta valle che porta al pozzo di Sbil. Si procede nel corso del oued. Molto sabbioso e con pietre affioranti. Ci insabbiamo. Poi usciamo dalla valle con una salitona sabbiosa che ci porta su un altopiano piattissimo e sassoso. da quì parte la pista per Ouadane. E' sera. Tira vento e la piana davanti a noi non offre il minimo riparo. facciamo dietro front e rientriamo per qualche centinaio di metri nella valle. Al riparo della falesia facciamo il campo di capodanno. Rita e Graziella preparano con Pippo un meraviglioso "cenone" con tanto di "codegotto". Non chiedetemi cos'è. Non ne ho idea. So solo che somiglia lontanamente al cotechino e che è buono.
Nonostante le proteste, Roberto ci costringe ad aspettare l'ora esatta per stappare lo spumante.