Da Banjul ad Agadez #6

Autore: Alberico Barattieri

14-02-2006

Mano di Fatima - Gao - Campo al confine

Silenzio. Siamo fermi. Riapro gli occhi e constato che non ero il solo a crollare dal sonno. Scendo dalla macchina e faccio due passi. Fa abbastanza freschetto. Dopo dieci minuti torno alle auto dove Marco ed il Nonno si sono nel frattempo svegliati. Siamo ad un centinaio di chilometri da Gao e ci rimettiamo in marcia con il sole che sorge di fronte a noi. Mano a mano che ci riavviciniamo al fiume si cominciano a vedere delle abitazioni e degli animali.

Manutenzione in attesa del bac di GaoArriviamo al posto di blocco posto a qualche centinaio di metri dall'imbarco per il bac che il sole comincia a scaldare. I militari sono poco socievoli e cercano di trovare qualcosa da farsi regalare. Ce la caviamo con un pacchetto di aspirina e proseguiamo verso la spiaggia. Ci fermiamo in ordinata coda dietro un camion e provvediamo a fare un po' di manutenzione. Intorno a noi piccole tettoie riparano bancarelle dove si vende di tutto. Il fiume qui è imponente. Scorgo sull'altra sponda il bac che sta salpando e sulla destra i piloni del ponte che da qui a qualche anno una volta completato lo manderà in pensione. La fine di un epoca. Piccole pinasse stracariche di passeggeri attraversano il fiume. Qualche palmipede sguazza sulla riva.
Arriva il bac. Ordinatamente (!) auto, camion, motocicli, biciclette, uomini ed animali salgono a bordo. Il capitano decide che in quanto bianchi dobbiamo pagare di più del dovuto con tono molto poco gentile. Augurandogli una prossima inaugurazione del ponte con annesso affondamento della sua carretta, pago e mi godo la traversata.

Sulla riva del Niger in attesa del bacSbarcati ci dirigiamo verso la città. Gao non ha fama di tranquillità, soprattutto in questi ultimi tempi ma, forse perché non entriamo nel cuore dell'abitato, non ce ne accorgiamo. Cerchiamo un gommista (sta diventando una ossessione) e dopo averlo trovato, sotto un sole implacabile, aspettiamo una prima mezz'ora per parlare con il titolare (!) dell'officina (!!), poi una seconda mezz'ora perché uno dei suoi giannizzeri torni con un pneumatico sbagliato, un'altra per un ulteriore ricerca... insomma, perdiamo tutta la mattinata. Riempiamo i tempi morti facendo la spesa, bevendo una coca bella fredda,  sudandola copiosamente non appena bevuta, interloquendo con i rari curiosi e questuanti che compaiono nel polveroso boulevard. 

Quando il sole è bello a picco ripartiamo alla ricerca dell'albergo dove ci attende Christine. E' pronta e per decisione del duo Nonno-Marco sale con me sul 61. Proprio quel che temevo: dover intavolare una conversazione con il mio ridicolo inglese. Che dopo una prima oretta di rodaggio da pessimo diventa simil-comprensibile, quando manca un termine, provo con il francese. Uno slang tutto nostro che ci permette di comprenderci senza troppa fatica.
Dunque cosa fa Madame Tam in giro sola soletta per l'Africa occidentale? Turismo, semplice turismo. Mi viene da ridere pensando quante ragazze europee avrebbero il coraggio di girare tranquille e serafiche, da sole in questi luoghi. Ha davanti a se ancora una ventina di giorni prima di rientrare in Benin, passando per la Nigeria e da li tornare negli USA. Ma è solo una tappa perché pur essendo di nazionalità statunitense lavora in Cina in un programma ambientale.
Ma sto cincischiando ammaliato dagli sguardi orientali. 

Il Niger dopo GaoDopo il controllo dei passaporti all'uscita della città ci troviamo su una pista che costeggia il Niger che scorre maestoso sulla nostra destra. Pista mediamente lenta e polverosa. Foriamo. Un 61 di locali si ferma a darci una mano e in breve ripartiamo. Attraversiamo un paio di villaggi, uno abbastanza grosso nel quale ci fermiamo per uno spuntino all'ombra di grandi acacie. Nessuno ci disturba. Chissà a cosa è dovuta questa piacevole indifferenza, così rara altrove in Africa. Intanto che il Nonno mette l'ennesima toppa alla sua gomma a brandelli (perché a Gao alla fine non si è trovata una gomma della misura giusta) scopriamo un piccolo negozio ben fornito di scatolame, biscotti ed un fracco di cose che uno non si aspetterebbe. Ripartiamo. La pista continua a seguire il corso del fiume a distanze variabili ma mai troppo lontano.

Alla fine del pomeriggio arriviamo a Labbezanga paese di confine. Non abbiamo molta acqua e cerchiamo nei negozietti muniti di frigo ma a parte l'acqua dei pozzi non c'è nulla. Ci stoppiamo all'altezza della sbarra davanti al posto di controllo maliano. Militari tutto sommato affabili, specialmente nel momento in cui Christine sfodera il suo passaporto americano. Il Nonno (come sempre prevenuto verso gli yankee) teme guai, invece la combinazione cina-america funziona, probabilmente per la lunga tradizione nei rapporti con i cinesi ed i recenti accordi antiterrorismo con gli USA. In marcia. In teoria siamo in territorio nigerino ma il controllo e l'ingresso vero e proprio li faremo domani a Ayorou. Per il momento l'urgenza è quella di trovare un posto abbastanza lontano dal paese e dalla pista dove piantare discretamente le nostre tende. Abbiamo notizia che la zona non sia il massimo in quanto a sicurezza e non ci teniamo a fare brutti incontri.
Mi infilo nel letto asciutto e sabbioso di un affluente per raggiungere una zona della riva del Niger dove fare campo e dopo qualche centinaio di metri mi insabbio. Dopo alcune esclamazioni molto prosaiche, grazie al Nonno ne veniamo fuori e finalmente, facciamo campo. Il sole è ormai tramontato e velocemente montiamo le quattro tendine singole mentre già cuociono i fusilli e ronzano stormi di zanzare che ci fanno coprire e cospargere per bene di Autan.
Ma com'è rumorosa questa parte dell'Africa, di notte!


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