Da Banjul ad Agadez #5

Autore: Alberico Barattieri

13 febbraio 2006

Toumbouctu - Mano di Fatima

Il venticello di ieri sera si è placato. Qualche gallo decide di cantare anzitempo, fatto sta che alle 8 siamo in piedi e pronti a metterci alla ricerca di un meccanico per la nostra marmitta e fare un paio d saldature al telaio dell'80 del Nonno: evidentemente anche lui non ha passato indenne la tirata sulla tole di ieri.

La città dei 333 santiFacciamo un giro verso il centro ma non scorgiamo alcuna officina. Allora passiamo al piano B e chiediamo informazioni ad un ragazzo che in men che non si dica ci porta dal meccanico. Un cortile sabbioso, una stuoia tenuta su da pali in legno, qualche pezzo di motore abbandonato in giro e una lunga attesa del mecanicien condiscono la mattinata.
Anche il lavoro di saldatura non è breve e ne approfitto per andare a bere qualcosa, sempre scortato dalla nostra guida, in una delle botteghe della piazzetta adiacente. Mentre sorseggiamo la nostra Pepsi chiacchierando del più e del meno mi accorgo che dall'altro lato della piazza c'è una scuola ed essendo ormai mezzogiorno è prossima l'uscita degli studenti. Visto che ho portato dietro la telecamera esco dal baretto e mi metto a filmare i ragazzi che sciamano facendo un discreto casino.

Ma vengo richiamato all'ordine: le macchine sono pronte e quindi ci mettiamo in marcia verso il centro di Toumbouctu. Cerchiamo qualche vestigia del glorioso passato ma a parte un paio di belle moschee tra le quali Djinguereber e Sankoré resta ben poco dell'antico splendore. Dopo la fotografia di rito davanti al cartello che indica che siamo nella città dei 333 santi ci accomiatiamo dalla guida e dopo una dozzina di chilometri arriviamo a Korioumè. Questa volta di giorno, il che ci consente di guardarci un po' in giro, tanto più che di bac non ce ne sono. Ci mettiamo sulla spiaggetta che serve da scivolo per imbarcarsi e ci prepariamo uno spuntino con tanto di caffè cosa che ci consente di attendere con più serenità l'arrivo, un paio d'ore dopo, del bac. Nessun problema questa volta. Siamo i soli a dover partire. La cosa ha il suo risvolto negativo: o aspettiamo altre due auto per completare il carico oppure paghiamo anche per lo spazio vuoto. Non abbiamo molta scelta e alla fine si parte.

La riva nord del NigerL'attraversamento del Niger è veramente piacevole. Fa caldo e si avanza lentamente tra lingue di sabbia affioranti rendendosi conto della perizia del pilota e del poco pescaggio che deve avere l'imbarcazione, nonostante il suo aspetto massiccio.

Costeggiamo la riva nord dove si susseguono piccoli villaggi in cui ferve la vita. Animali, donne che lavano i panni, pinasse che scaricano e caricano merci e passeggeri. Poi è sabbia, chiarissima, piccole dune gialle, punteggiate di acacie che vanno a a morire nel verde del grande fiume.

Quando abbandoniamo la sponda nord ecco che la parte poetica finisce e che tocca tornare alla realtà. Bisogna scendere dal bac senza restare a mollo nel bagnasciuga e poi infilarci nella polvere della pista. Dopo pochi chilometri siamo di nuovo nella tole. E dopo qualche chilometro ci fermiamo perché il 61 comincia ad arrivare un po' troppo frequentemente a fondo corsa con le sospensioni posteriori. Dopo un rapido controllo constatiamo che diversi fogli di balestra sono rotti e quindi decidiamo di alleggerire al massimo il mezzo. Traslochiamo un po' di carico ed anch'io abbandono Marco salendo in auto con il Nonno.

In capo a qualche ora siamo finalmente a Douenza. Ci fermiamo presso un meccanico per vedere cosa si può fare per le balestre. Il proprietario molto gentilmente si mette a nostra disposizione ma pur rivelandosi un buon padrone di casa approvvigionandoci di carne alla brace e bibite fresche, ha qualche difficoltà in più rispetto alle balestre. Non voglio raccontarvi il piccolo circo che si sviluppa intorno a noi da quel momento, ma una cosa degna di nota succede: una volta smontate le balestre occorreva sbullonare il "pacco" costituito dai diversi fogli. Solo che dadi e bulloni erano completamente bloccati dalla ruggine, insvitabili anche per i forzuti assistenti del meccanico. Quest'ultimo mi si avvicina, mi chiede di prestargli la lattina di coca che ho in mano e ne abusa abluzionandone generosamente i bulloni bloccati. Passano due minuti di orologio e voilà, meglio del miglior Svitol. Ecco una leggenda metropolitana che non è leggenda ma realtà. In breve, dopo tre ore di andirivieni dei vari assistenti stiamo per ripartire con un lavoro rabberciato per metà quando ci accorgiamo che sul 61 non funzionano più le luci. Andiamo bene! E' buio e ci aspetta una tirata notturna fino all'alba per raggiungere Gao e recuperare il tempo speso per l'andata e ritorno a Tombouctu. Marco si infila nel cofano e nel giro di una mezz'oretta riesce a far funzionare le luci di posizione.

La Mano di FatimaPartiamo. Tocca a me guidare e seguo il Nonno e Marco ad una ventina di metri di distanza. L'asfalto è pieno di buchi di dimensioni diverse. Capita di stare tranquilli per un chilometro e poi tocca fare lo slalom. Al buio è uno sport parecchio complicato. Riesco a percepire qualcosa dai movimenti della macchina davanti a me ma le buche le vedo quando sono ormai a pochi metri e quindi sono costretto ad un andatura non delle più veloci. 

Passiamo alcuni piccoli paesini semi addormentati, qualche posto di blocco e poco più. Intorno a noi dovrebbero esserci delle falesie molto belle ma non si riescono a percepire. Solo verso le due, quando un minimo di luna illumina lo scenario ci fermiamo per un caffè e per (intra) vedere le dita di Fatima. Marco, che evidentemente nelle ore precedenti ci ha rimuginato su, si infila nuovamente nel cofano e fa funzionare anche i fari medi.

Ora tocca a lui guidare perché il caffè a me non vuol proprio fare effetto. Salgo con il Nonno, mi accoccolo sul sedile del passeggero e ronfo alla grande.


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