12 febbraio 2006
Dopo una attenta analisi dei giorni restanti per giungere ad Agadez ed aver limato i tempi al massimo, ieri sera abbiamo preso la decisione: Andiamo a Tombouctou!
Per far ciò ci svegliamo presto e dopo una deludente colazione al buffet dell'albergo ci mettiamo in marcia. Prima tappa il recupero del pneumatico a Sevarè che tra discussioni varie porta via una buona mezz'ora. Ne approfittiamo per la solita scorta di pane ed acqua. La strada verso la cittadina di Bandiagara è asfaltata e scorrevole. Da qui in poi è pista. Direzione Sanga, che si trova circa al centro della Falesia di Bandiagara.
La velocità è forzatamente bassa a causa della irregolarità del fondo. Si scorgono alcuni resti di tracciato di epoca coloniale che attraversano con gettate di cemento dei grandi lastroni di pietra. Incontriamo qualche piccolo villaggio con i caratteristici granai sopraelevati e dei verdissimi ed odorosi campi di cipolle in cui l'attività ferve. E' un tratto distintivo dei Dogon la cura delle coltivazioni. Piccoli barrage accumulano l'acqua che con fitte canalizzazioni viene convogliata nei campi. Lo stacco tra l'aridità dello scenario principalmente roccioso e questa improvvisa esplosione di vita vegetale è fortissimo.
A Sanga ci fermiamo in un lussuoso hotel, segno del turismo ormai industriale che sta progressivamente invadendo il Paese Dogon, per bere qualcosa di fresco e fare il punto. Siamo sul bordo della falesia e una volta discesi gireremo a sinistra, verso nord, per raggiungere il più brevemente possibile Douenza da cui parte la pista per Tombouctou.
Così del Paese Dogon vedremo solo l'aspetto scenografico senza visitare a fondo i villaggi. D'altra parte la cosa, per essere fatta bene e comprendere qualcosa della complessa cultura di questo popolo, richiederebbe qualche giorno.
Imbocchiamo la pista che scende dalla falesia: è ripida ma permette di avere uno scorcio mozzafiato su una serie di villaggi alla base della parete verticale sulla quale sorge Sanga. Una volta scesi, seguiamo la pista che segue la falesia ed attraversa numerosi piccoli villaggi ognuno dei quali è dotato del suo bravo negozio che vende scale e pali di togunà. Purtroppo si tratta di paccottiglia per turisti e di manufatti di qualità formale non se ne vedono. Anche la maggioranza dei togunà nei villaggi ha pali estremamente poco decorati e di fattura recente: un segno evidente che gli antiquari hanno già fatto piazza pulita degli originali, come quelli visti tempo fa a Dakar.
Lungo la pista scorrevole ma molto scavata incrociamo oltre a fuoristrada "tourisme" qualche carretto tirato da asini. Stufi del traffico, tentiamo un taglio nella piana alla nostra destra, tenendo il più possibile la rotta diretta su Douenza e seguendo delle saltuarie tracce. Giungiamo così ad un villaggio di "dogon di pianura" in un boschetto di acacie con un laghetto ombreggiato dagli alberi. Il luogo è tranquillo. Qualche passante, radi capi di bestiame e aria immobile. Un luogo in cui sarebbe piacevole fermarsi un po'. Lasciando il villaggio la pista percorre delle grandi ondulazioni ogni tanto separate da forti erosioni.
Gradualmente ci riavviciniamo alla falesia tra le acacie su pista sabbiosa fino a quando ci troviamo dentro a Douenza. Purtroppo dalla parte vecchia. E in giorno di mercato. Triboliamo il giusto, con l'aiuto di volenterosi locali a trovare l'uscita verso la statale, zigzagando tra i banchetti e la folla di motorini pedoni ed animali. Una volta sulla statale ci fermiamo in un bar per bere e mangiare qualcosa.
Qualche europeo ed una Sino-Americana in viaggio per l'Africa Occidentale con mezzi locali. Christine Tam è in giro da un paio di mesi ed ha già visitato Benin, Togo, Burkina e Mali. E diretta a Gao per poi proseguire verso il Niger. Dovendo andare noi a Tombouctou, città dalla quale proviene con un viaggio sul cassone di un camion durato molte ore, le diamo appuntamento a Gao per le 12 di due giorni dopo.
Dopo aver fatto il pieno imbocchiamo la pista per Tombouctou che sfila a fianco di grandi torri di roccia. I primi chilometri sono tutto sommato percorribili con facilità, fino a quando la pista diventa un'unica immensa tole ondulè. Un martirio per meccanica e passeggeri. Facciamo qualche taglio al di fuori del tracciato ma la necessità di arrivare al bac sul Niger prima di sera ci costringe a tirare ed a viaggiare ad alta velocità sulla tole nel tentativo di galleggiarci sopra. Superiamo il posto di controllo di Bambara Maundè e contrariamente alle aspettative anche il tratto seguente è ben tracciato, ma la tole impera.
Il Nonno ci sprona a correre di più e scompare in una nuvola di polvere. Io spingerei anche di più ma la macchina, con le sue balestre, più di tanto non può e le continue vibrazioni ci staccano la marmitta. Da qui in avanti cominciamo a sembrare ad un rumoroso trattore.
Al crepuscolo dopo una parte di pista estremamente polverosa, giungiamo in vista del Niger e della spiaggia di imbarco. Del bac neanche l'ombra ma ci assicurano che sta arrivando. E' tutto tranquillo, qualche pinasse si attarda sul fiume ed il vento porta a folate le voci dei conducenti degli altri mezzi in attesa. Siamo abbastanza stanchi e pensiamo di aver ormai fatto il più. Invece l'azione comincia non appena non uno ma ben due bac appaiono da dietro un ansa del fiume. Ed in effetti i motori cominciano a rombare e l'anarchia si impossessa della spiaggia, nonostante la presenza di un poliziotto con la sua 61 blu. Già il salire sul bac non è una cosa semplice: bisogna percorrere qualche metro di spiaggia nell'acqua prima di incontrare i ripidi scivoli dell'imbarcazione e se aggiungiamo a questo che è ormai buio si può capire come sul primo bac anche i locali hanno le loro brave difficoltà insabbiandosi alla grande. Urla, imprecazioni, conciabolii, spinte e corde da traino talmente usurate da spezzarsi più volte. Un vero casino. Ma ne siamo solo spettatori. Noi dobbiamo salire sul secondo bac che nel frattempo si è messo in posizione.
E qui il casino coinvolge anche noi.
Ci si dovrebbe imbarcare nell'ordine di arrivo sulla spiaggia ma un paio di pickup giunti dopo di noi tentano di fare i furbi. Dopo una mezz'ora di urli ed imprecazioni si infilano di forza prima di noi ed a quel punto anche noi facciamo di necessità virtù e, sempre di forza saliamo a bordo. Ne nasce una discussione a causa del fatto che il camion che era il primo a dover salire è rimasto a terra. Alla fine scendiamo a brutto muso e vengono fatti scendere anche i pickup. Sale il camion. Tocca a noi ma ci tocca fare ancora una sceneggiata a base di urla e sportellate sulla spiaggia prima di riuscire a salire a bordo. Che fatica...
La traversata del Niger dura una quarantina di minuti perché il nostro bac va a Korioumè, più ad ovest di Kabara, tradizionale porto di sbarco per Timbouctou. Ci spostiamo lentamente grazie alla pinasse fissata ad una fiancata ed al suo piccolo motore fuoribordo. Non sono riuscito a capire se il motivo dell'uso di questo sistema anziché utilizzare i motori diesel del bac sia una questione economica o di basso pescaggio in questo periodo dell'anno.
Col buio pesto ed alla luce dei fari sbarchiamo e ci portiamo sulla strada asfaltata ed in una ventina di minuti siamo a Timbouctou. Cerchiamo un albergo o un camping e troviamo rifugio alla periferia della città dove ci permettono di installare le nostre tende sul tetto. Aria tiepida, voci lontane e stanchezza ci portano a non pensare più di tanto ai problemi dei nostri mezzi e dopo aver spedito un po' di sms atti a suscitare l'invidia degli amici rimasti in Italia andiamo soddisfatti a nanna.