8 febbraio 2006
Alba sul fiume. I primi uccelli hanno già cominciato il loro concerto e dalla sponda opposta qualche sparuta piroga si avventura nelle acque dorate dal sole a controllare reti e nasse. Caffeggiamo allegramente senza che nessuno venga a disturbarci, smontiamo con calma il campo e riprendiamo la pista che dopo aver passato qualche villaggio diventa sempre meno polverosa.
I villaggi sono costituiti da capanne realizzate con rami e fascine, di solito raggruppate intorno ad un cortile, anch'esso recintato con steccati di rami conficcati fittamente nel terreno. Scorgiamo scene di vita rurale con donne e bambini intenti rispettivamente a mettere ordine ed a fare casino. Sorrisi, saluti, e nessuna richiesta di cadeau. E' vero che non si tratta di una pista molto battuta dai turisti ma è probabile che il relativo benessere di questi villaggi, dovuto alla presenza del fiume, faccia la sua parte nel comportamento di questi bambini.
Un gruppo di babbuini e diversi accostamenti alla ferrovia movimentano il percorso. Alcune falesie compaiono e tendono a restringere l'orizzonte. Attraversata un'altra volta la ferrovia compare a sinistra della pista un impianto industriale abbandonato. Un grosso impianto, probabilmente realizzato per il trattamento di qualche minerale estratto un tempo nella zona. Oltre il cancello che ne sbarra l'ingresso e che porta la data del 1969, carcasse di camion, capannoni ordinati, costruzioni per gli operai. Vera archeologia industriale risalente agli anni in cui il Governo militare del paese si appoggiò alla tecnologia cinese e sovietica.
Mentre noi ci fermiamo per fare delle foto il Nonno incontra poco più avanti una coppia di fuoristrada transalpini. Stanno percorrendo la nostra pista e ci chiedono di unirsi a noi fino a Bamako. Partiamo dunque in colonna: il Nonno, come sempre, forte delle sue tracce sul gps apre la via. Seguono Christine e Jacque sul loro Toyota, quindi Jean-Marie con il suo attrezzatissimo Nissan. Noi chiudiamo ad una certa distanza.
Giungiamo alle cascate di Gouina. Un bel luogo dove facciamo una sosta. Approfondiamo la conoscenza con i nostri nuovi compagni di viaggio e ne approfittiamo per fare il bagno a monte delle cascate. La riva è formata da grandi lastre di pietra che formano delle piccole anse, riparate dalla corrente, in cui è veramente piacevole potersi togliere di dosso gli strati di polvere. Una volta archiviata anche la pratica caffè, proseguiamo lungo la pista. Dopo un po' il percorso abbandona per un tratto il corso del fiume per scavalcare una falesia. Vi sono un paio di passaggi da ridotte, delicati per i ponti e le parti sporgenti dei mezzi.
Boschetti e radure si alternano e, quando la pista piega decisamente ad est.. perdiamo Jean-Marie. Breve consulto con il Nonno e mentre lui Christine e Jacque proseguono verso Bafoulabé noi torniamo sui nostri passi. Cinque minuti dopo incrociamo Jean-Marie. Aveva proseguito dritto ad un villaggio ma dopo 10 minuti, accortosi dell'errore era tornato indietro e ritrovato la pista corretta. Arriviamo così a Bafoulabé. In una piazza dominata dal monumento all'ippopotamo, sotto degli alberi rigogliosi, facciamo una pausa assaporando delle birre fresche che la premurosa Christine ci offre.
Usciamo dalla città e percorrendo un grande viale ci dirigiamo verso il centro di Mahina. La strada passa attraverso una ininterrotta fila di botteghe fino a quando incontra la strada ferrata. Qui abbandoniamo la strada per imboccare il ponte della ferrovia, unico punto in cui si può attraversare il fiume, uno degli affluenti del Senegal: il Bakoye. L'attraversamento si effettua mettendo una ruota tra i binari e l'altra sul lato. Nulla di pericoloso ma molto caratteristico e con il ponte metallico che emette un forte clangore di ferraglia durante il passaggio dei mezzi.
Passato il ponte la pista è abbastanza scorrevole. Puntiamo su Manantali dove il Bafing, Uno dei due fiumi (l'altro è il Bakoy) che unendosi formano il fiume Senegal, è stato sbarrato con una enorme diga da qualche anno. Qui la strada abbandona la valle e sale sull'altopiano ad est. Viaggiamo veloci in una fitta boscaglia che per lunghi tratti è nera ed ancora fumante. Probabilmente un modo per eliminare il sottobosco e rendere coltivabili i terreni liberati. C'è da dire che la vegetazione superiore non sembra patire particolarmente il trattamento. Arriva l'ora di fermarsi ed il meglio che troviamo è un terreno sgombero da vegetazione, in quanto già bruciato, a breve distanza dalla pista. Se non fosse per l'odore di bruciato si starebbe benissimo. Penne al sugo, una birretta fresca, grandi chiacchiere e racconti delle rispettive esperienze africane durante le quali mi viene inopinatamente affibbiato il nomignolo di "Monsieur Le Compte" e poi a nanna.
9 febbraio 2006
Arriviamo a Kita in mattinata. Un paio di controlli all'ingresso. Attraversiamo l'esteso abitato per recarci al distributore a fare i pieni. Mentre le operazioni sono in corso Christine ci offre delle arance da succhiare. In effetti è una cosa che non avevo ancora visto: il frutto viene pelato della buccia e lasciato con lo strato inferiore, molto più spesso di quello delle arance nostrane, che viene intagliato circolarmente alla sommità per ricavarne una specie di tappo. Basta toglierlo, schiacciare l'arancia nella mano e succhiare il succo. Non so per quale magia o legge fisica, ma è fresco!
Dopo esserci rifocillati ed aver verificato alcuni fusibili che fanno le bizze sulla macchina del Nonno riprendiamo la pista. A parte qualche pezzo breve di tole è molto scorrevole. Si succedono villaggi, spesso muniti di viale alberato, sempre con edifici scolastici pieni. Per strada poche persone. Ad uno dei posti di controllo un poliziotto chiede un passaggio e sale sulla macchina del Nonno. Come sempre dopo un po' siamo staccati dagli altri e ne approfittiamo per prendercela, relativamente, comoda. Spesso all'ingresso ed all'uscita dei villaggi ci sono dei rallentatori che non si vedono se non all'ultimo momento. Dopo un paio di salti prendiamo le misure alla cosa e da qui in avanti li troveremo ad intuito. Quasi sempre.
Una particolarità di questo tratto di strada sono i magazzini per il cotone. Si tratta di recinti in materiali vegetali riempiti fino alla sommità di fiocchi di cotone grezzo. Probabilmente, dato che ne vediamo anche su un paio di camion, si tratta di materiale grezzo che le donne dei villaggi fileranno e trasformeranno in tessuti.
Arriviamo così alla strada asfaltata. Pausa per una bibita fin troppo gelata a bordo strada e ci dirigiamo alla volta di Bamako. A parte Jean Marie che cerca di fare un frontale, arriviamo senza danni all'ingresso della città. Il traffico si ingrossa, poi diventa caotico.. siamo in centro. Giriamo per un po' sotto la guida del poliziotto alla ricerca dell'albergo. Poi ci stufiamo, chiediamo la strada e tra uno scoppiettare di motorette, ciclisti stracarichi, carretti anarchici, venditori di carte telefoniche, il tutto in una coda disordinata, troviamo il nostro albergo.
Stacco.
Improvvisamente, appena passato il cancello di accesso il casino sparisce, niente folla, calma. Niente male l'Hotel Mande. Curato, con costruzioni basse disposte in un giardino lussureggiante, con una splendida piscina ed una terrazza a sbalzo sul Niger in cui servono dell'ottimo Capitaine (il pesce pregiato del Niger) e da cui si godono tramonti coloratissimi.
Ma questo succede più tardi, insieme ai nostri amici francesi che resteranno qui, in attesa di parenti ed amici con cui continuare il giro. Nel pomeriggio ho il tempo di assistere alla TV alla finale per il terzo e quarto posto della Coppa d'Africa di calcio tra Senegal e Nigeria (per la cronaca ha la meglio la Nigeria in una partita lenta e dalle poche emozioni), fare le dovute abluzioni per togliermi la crosta di polvere di dosso e tuffarmi con estrema goduria in piscina.